CRONACA – Vasta operazione della Guardia di Finanza di Torino sui rifiuti metallici: 33 arresti. Controlli a Nichelino
I militari della Guardia di Finanza di Torino stanno dando esecuzione, nell’ambito dell’operazione “FERROMAT”, ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale nei confronti di 33 persone, indiziate di appartenere, nell’ipotesi accusatoria, a 3 distinte associazioni per delinquere finalizzate al traffico illecito di rifiuti metallici e all’emissione ed utilizzo di documenti attestanti operazioni inesistenti.
Sono in corso di svolgimento oltre 50 perquisizioni nei confronti di persone fisiche e aziende, nonché il sequestro preventivo di 8 società operanti nel settore del commercio di rottami metallici e di beni per oltre 270 milioni di euro, tra cui disponibilità finanziarie, immobili, veicoli e quote societarie. Le operazioni si sono ramificate anche nei comuni di Nichelino, Beinasco, Bruino e Rivalta.
L’attività scaturisce dal sequestro, ad opera di un’altra Forza di Polizia in occasione di un controllo su strada nel febbraio 2018, di denaro contante a carico di 2 soggetti di nazionalità italiana, uno dei quali titolare di una ditta individuale operante nel settore del commercio dei rottami.
Le successive indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Torino – Direzione Distrettuale Antimafia (indagine già coordinata dal p.m. dott. Giuseppe Riccaboni) e condotte dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria Torino, mediante accertamenti bancari, approfondimento di decine di segnalazioni di operazioni sospette, intercettazioni telefoniche e telematiche, posizionamento di telecamere e di GPS veicolari, acquisizione di videoregistrazioni presso uffici postali, hanno permesso di acquisire elementi gravemente indizianti, nell’ipotesi accusatoria, dell’esistenza dei gruppi criminali, attivi fin dal 2015 e tuttora operanti, anche all’estero.
Secondo le norme comunitarie, affinché i rottami metallici non siano qualificabili come “rifiuto”, il produttore deve redigere e trasmettere ad ogni cessione una “dichiarazione di conformità”, al fine di consentire, in ogni momento, l’individuazione dell’origine del rottame e, dunque, la tracciabilità dello stesso.
Nell’ipotesi dell’accusa, gli indagati avrebbero predisposto documentazione fiscale e amministrativa falsa al solo scopo di “regolarizzare” ingenti quantitativi di rifiuti destinati a società di capitali “utilizzatrici”, con sede in Piemonte e Lombardia. In particolare, sarebbe stata occultata la reale provenienza dei rifiuti (e, pertanto, la corretta tracciabilità della filiera di produzione, di recupero e smaltimento degli stessi), per il tramite di società “filtro” e/o ditte individuali “cartiere” (situate anche in Germania) e con il supporto di una fitta rete di soggetti “prestanome”.
Nell’ipotesi investigativa, le organizzazioni illecite, grazie a tale falsa documentazione, avrebbero quindi potuto introdurre nel regolare commercio dei rottami ferrosi (c.d. end of waste) rifiuti metallici acquistati in nero e privi dei requisiti di conformità e tracciabilità previsti dalla normativa europea.
La falsa documentazione avrebbe anche consentito agli imprenditori-utilizzatori finali del materiale di dedurre costi “in nero”, configurando pertanto anche reati fiscali.
Nell’ipotesi di accusa, continui e frenetici prelievi di denaro effettuati dai titolari delle “cartiere” presso uffici postali nazionali e intermediari esteri, dove risultava più agevole reperire in breve lasso di tempo il contante, permettevano il rientro dello stesso nella disponibilità delle società “utilizzatrici” al netto del compenso del 5-8% trattenuto dall’organizzazione. A tal fine, dalle attività di intercettazione, è emerso chiaramente il ricorso a un linguaggio criptico e in codice, noto e condiviso tra gli interlocutori.
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