Filippo Nassetti, fa volare le aquile nei cieli de “Il libro del Mercoledì”
Filippo Nassetti non è un aviatore. Ma il mondo del volo lo conosce molto bene. Perché lavora all’ufficio stampa Alitalia; perché è il fratello di un pilota che fra tutti questi personaggi quotidianamente straordinari, è ancora più straordinario, essendo il primo pilota di linea al mondo a essere riuscito a tornare ai comandi di un jet di linea dopo un difficile intervento a al cervello. Filippo Nassetti racconta questa storia e molte altre ancora in “Molte aquile ho visto in volo – vite straordinarie di piloti” (Baldini+Castoldi, 144 pagine, 15€), presentato mercoledì 21 luglio nel Cortile del Castello di Carmagnola, in occasione della penultima serata de “Il libro del Mercoledì”, kermesse letteraria organizzata dal Gruppo di Lettura Carmagnola.
“Inizialmente volevo scrivere storie di piloti, persone che sono straordinarie pur non ritenendosi tali. Per essere un pilota occorre rigore, senso di autocritica massimo e continuo, perché nessun volo è perfetto; voglia e dedizione allo studio per una continua formazione tecnica che inizia dal primo giorno di scuola e termina solo il giorno in cui si pone le ruote a terra per l’ultima volta prima di andare in pensione”. Il fascino del volo ha ammaliato il genere umano da tempi immemori, dalla creazione del mito di Icaro, ai giorni nostri affascinando personaggi come Leonardo e i fratelli Wright. “Era di queste persone che danno concretezza a questa fantasia, degli Ulisse del cielo, che volevo parlare e raccontavo le loro storie” afferma Nassetti dialogando con Maurizio Liberti e Alessia Respighi “e così ho messo insieme le storie di alcuni di loro. Ho fatto leggere questi profili al giornalista Gabriele Romagnoli, che ha scritto la prefazione, che immediatamente mi chiese perché non avessi inserito fra queste la vicenda di mio fratello Alberto, che rappresentava la storia per eccellenza della determinazione e la capacità di reagire alle sventure dei piloti”. Dopo un attimo di esitazione Filippo Nassetti mise nero su bianco la storia di questo fratello che con molta determinazione e sacrifici arrivò alle cloche di un aereo prima di doversi fermare per subire un intervento al cervello per un tumore maligno. Ma neppure questo riuscì a fermarlo, visto che Alberto Nassetti fu il primo pilota al mondo a ottenere nuovamente, dopo molte battaglie, l’abilitazione al pilotaggio. Nel libro la storia di Alberto Nassetti si intreccia con quella di Pier Francesco Amaldi Racchetti, pilota pure, figlio di Pier Paolo Racchetti, che nel 1994 perì in un incidente aereo di collaudo assieme ad Alberto. Con incastonate fra le pagine, come autentici camei, cinque storie di piloti che dimostrano come nella loro quotidianità e leggerezza di vivere, queste persone siano straordinarie nell’ordinario. “Solo dopo l’uscita del libro ho capito a pieno la grandezza e l’importanza della storia di mio fratello” afferma Filippo Nassetti all’ombra del municipio carmagnolese, prima di autografare un volume che si legge tutto di un fiato e ci fa abbracciare persone che assomigliano così tanto a chi avremmo voluto essere. Ma non abbiamo avuto la forza e il coraggio per imitarli.
Seduto alla scrivania del suo ufficio in via Alberto Nassetti a Fiumicino, Filippo Nassetti meditava da tempo di scrivere un libro dal titolo “Piloti”. Titolo poco originale, forse, ma sicuramente efficace ed esplicativo di quanto avrebbero raccontato le pagine all’interno. E il giornalista bolognese di nascita e romano di adozione era nella condizione ideale per farlo. Lavorando all’ufficio stampa Alitalia era ed è abituato a forgiare immagini con le parole e di piloti (di aerei) ne incontrava e ne incontra a volontà tutti i giorni. Non solo per questioni di lavoro, ma anche al bar per la colazione o semplicemente nei corridoi degli uffici della compagnia di bandiera. E di storie di volo ne aveva sentite tante. E così ha cominciato a mettere su carta le storie e i profili che gli sembravano migliori per descrivere queste strane persone che affermano di lavorare “nell’ufficio più bello del mondo”: il cielo.
Messi su carta (o in un file di computer) una decina di questi profili li fece leggere a Gabriele Romagnoli, bolognese e, soprattutto, giornalista e scrittore.
“Bel lavoro” affermò Romagnoli “ma perché non scrivi la storia di tuo fratello Alberto? Quella non è una storia, ma è la storia per eccellenza dei piloti”.
È così che ha preso un’altra piega il libro di Filippo Nassetti che ha immediatamente cambiato il titolo dell’opera, divenuto “Molte aquile ho visto in volo – vite straordinarie di piloti” (Baldini+Castoldi, 144 pagine, 15€), titolo tratto da un verso di una poesia scritta dal fratello Alberto. Sul palco del cortile del Castello di Carmagnola Nassetti racconta con una certa emozione lo sviluppo di questo suo lavoro. Una certa emozione dovuta al fatto di scrivere del proprio fratello, di sette anni più vecchio, morto in un incidente aereo il 30 giugno 1994. E proprio quell’incidente aereo, durante un volo di collaudo del nuovo velico dell’Airbus A330, fa da cerniera delle due storie portanti del libro. Quella di Alberto Nassetti e di Pier Francesco Amaldi Racchetti, pilota e figlio di Pier Paolo Racchetti, altro pilota italiano perito nell’incidente di Tolosa. Un racconto che procede linearmente con i capitoli dedicati ad Alberto Nassetti che partono dal momento in cui quattordicenne scrive al padre chiedendo scusa perché non seguirà l’indirizzo di studi sognato dal genitore, ma seguirà la sua passione per il volo fino a diventare comandante di un jet per i colori di Alitalia. Una storia che si conclude con il giorno dell’incidente, descritto senza fronzoli, quasi fosse un racconto di cronaca, senza far trasparire le emozioni, che pure albergano nel cuore dell’autore. Percorso a rovescio per il secondo protagonista, Pier Francesco Amaldi Racchetti, che inizia dal giorno in cui siede per la prima volta ai comandi di un jet e si ritrova sulla pista di rullaggio di Fiumicino ad attendere l’atterraggio di un aereo prima di poter decollare. E il destino è sempre lì, pronto a darci le sue suggestioni, e quale deve essere stata la sorpresa del giovane pilota nel vedere che il Boeing 777 che stava posando le ruote al suolo era quello dedicato a suo padre Pier Paolo, che lui non aveva mai conosciuto, essendo nato 33 giorni dopo la sua morte.
Pur essendo un volume che ha come nodo centrale l’incidente di Tolosa è un libro di ottimismo, scritto in modo leggero e di facile lettura che dimostra come i piloti siano sì persone straordinarie, ma nella quotidiana ordinarietà. Se per Racchetti il destino verso la cabina di pilotaggio era tracciato dal suo DNA, padre pilota, madre assistente di volo, il nuovo marito della moglie che lo ha allevato pilota pure lui e se non bastasse anche nonni piloti, per Alberto Nassetti la cosa è meno scontata non avendo in famiglia nessuno con la passione del volo. Eppure quella passione lo porta a fare scelte faticosissime, come scegliere una scuola superiore che comporta viaggi di due ore di andata e altrettante di ritorno per seguire le lezioni per un quattordicenne che è ancora un bambino. Ma mollare mai, pretendere da sé stesso di essere il migliore in ogni esame della vita, sia scolastica sia nelle selezioni della compagnia di bandiera; il guardarsi continuamente allo specchio per cercare ogni giorno e ogni attimo dove e in cosa migliorare. Una forza di volontà espressa anche in altri campi, in sella a una moto da cross, scalando una montagna, scattando una fotografia particolarmente emozionante. Una forza di volontà e il desiderio di contare solo su sé stesso e sulle proprie attitudini che lo porta ad affrontare l’esame più difficile della sua vita con determinazione e caparbietà non comuni. Quando nel gennaio del 1991, all’età di 25 anni non ancora compiuti, gli viene diagnosticato un tumore al cervello la prima cosa che Alberto Nassetti che è rassicurare i familiari, raccontando una bugia alla madre, una bugia che ha il solo scopo di preservare la tranquillità di chi gli sta intorno. “Mamma vai pure a Bologna dai nonni. Domani io vado in ospedale per un ematoma alla testa rimediato in una caduta con la moto da cross” dice con leggerezza, pur conoscendo perfettamente la gravità della situazione. Invece era un tumore maligno al cervello, e per Alberto iniziava una nuova sfida per tornare a essere quel pilota in cabina di pilotaggio che era stato fino a pochi giorni prima. Una battaglia iniziata stringendo al massimo i tempi dell’intervento, lavorando sodo per velocizzare il recupero, andando alla ricerca di quegli specialisti che potessero fargli ottenere nuovamente la severa abilitazione al volo che era il suo obiettivo finale. Abilitazione che mai prima di allora aveva ottenuto un pilota operato al cervello. Riuscire a ottenerla, seppur limitata a un ruolo di seconda fila nella cabina di pilotaggio, fu un successo. “Quando mio fratello Alberto ottenne quella idoneità parziale al volo ne fu felice, ma non gli bastava essere il terzo pilota in cabina” racconta sul palco carmagnolese Filippo Nassetti. “Così continuò a lottare, a sottoporsi a esami fino a quando ottenne, primo pilota al mondo, l’abilitazione totale”.
Un vero successo.
Storia professionale invece scontata per Pier Francesco che prende la sua decisione all’età di diciannove anni quando i genitori lo portano all’aeroporto di Roma Urbe per un battesimo del volo su Cessna, prendendo consapevolezza che quella che era una passione latente doveva diventare realtà. Ma essere legato geneticamente al volo non basta per farne un pilota, ci vogliono spirito di sacrificio, dedizione, studio e molto altro ancora. “Il mestiere del pilota richiede una formazione permanente” afferma Filippo Nassetti. “Mi capita di incontrare piloti che dopo trent’anni di volo si chiudono in casa per giorni a studiare, documentarsi, prepararsi per il rinnovo dell’abilitazione al comando dell’aereo. Che non è solo questione di essere fisicamente in forma, e superare gli esami clinici molto severi cui vengono annualmente sottoposti i piloti. Ma anche superare l’esame al simulatore, quando si è ai comandi di un aereo e si deve rispondere con prontezza e precisione all’emergenza che l’esaminatore proporrà”.
Un volume che non è solo la storia di Alberto e Pierfrancesco, ma anche la storia di ordinaria straordinarietà di altri cinque piloti che raccontano con la massima semplicità il loro quotidiano. Come Dino Iuorio, scalatore oltre che pilota bergamasco, che durante una spedizione in solitaria sul Pumori, vetta di 7161 metri nell’Himalaya, salvo due alpinisti australiani sepolti da una slavina. Encomi e onorificenze dal soccorso alpino nepalese, ma soprattutto la gran voglia di tramutare quell’esperienza in un qualcosa di utile alla società. Oggi Dino continua a manovrare la cloche del suo Boeing 737 e nel tempo libero vola sugli elicotteri del soccorso alpino nelle valli bergamasche. Mica come pilota, sarebbe troppo facile, ma come l’uomo che si cala con il verricello per recuperare l’infortunato. O ancora il racconto di Antonino Vivona che narra come i piloti delle Frecce Tricolore seppero fare quadrato, tutti assieme dopo la tragedia di Ramstein nella quale perirono 70 persone, compresi tre piloti. Abbandonati da tutti, politici e giornalisti che fino al giorno prima volevano a tutti i costi essere ritratti con questi piloti, gli aviatori seppero trovare nel loro interno la forza di risorgere e riportare in cielo una delle poche glorie che uniscono gli italiani. E siccome un buon libro ha bisogno di un lieto finito perché non raccontare la vicenda di Francesco Miele che da un incidente motociclistico, con conseguente amputazione della gamba, trovò la forza per ritornare a pilotare la forza di tornare in cabina di pilotaggio (primo pilota europeo ad essere riuscito nell’impresa), oltre a trovare l’amore della sua vita. Ora è felicemente sposato, vive a Londra, continua a pilotare aerei. Questa in sintesi la sua storia. Ma per gustarla appieno è necessario leggere “Molte aquile ho visto in volo – vite straordinarie di piloti”.
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