PECETTO – Nessuno vuole la cascina dei Camaldolesi all’Eremo, anche la seconda asta va a vuoto
La sommità della collina pecettese ospita storici edifici legati alla presenza dei monaci Camaldolesi, una patrimonio in parte ancora da salvare prima che il tempo lo riduca ad un cumulo di rovine. Dopo l’ottimo lavoro fatto dal Sermig all’ex istituto «Casa mia» sarebbe bello vedere qualcosa di analogo alla cascina dei Camaldolesi, quella che sorge nella conca ai piedi dell’Eremo. Perlomeno è un sogno che accarezza l’Inps, proprietaria del grande edificio che da tempo tenta di vendere senza successo attraverso delle aste pubbliche. L’ultima ha ottenuto zero offerte, quella precedente non era andata diversamente. Il valore base supera di pochissimo il milione di euro, cifra impegnativa ma che al tempo stesso potrebbe rappresentare un affare vista la location, ma al momento sembra proprio che tale opportunità non interessi a nessuno. Eppure un embrione di idea per risanarla e trasformarla in altro ci sarebbe. Tempo addietro infatti il consigliere comunale Del Noce propose alla Diocesi di Torino (proprietaria si ciò che resta del sovrastante complesso dell’Eremo dei Camaldolesi) di riportare il luogo ai fasti del passato, realizzando intorno alla struttura (recuperata insieme all’annessa chiesa) delle coltivazioni di erbe officinali, le stesse che in passato venivano piantate e curate dai monaci. Un contesto in cui la cascina sarebbe diventata una struttura ricettiva che avrebbe dato lavoro a delle persone, non a caso la proposta venne anche discussa con la Compagnia di San Paolo, ma poi tutto finì in una bolla di sapone perché parlare con l’Inps fu impossibile.
La costruzione della cascina risale al 1600, poco dopo la fondazione del convento dell’Eremo. Era ovviamente un manufatto «di servizio» del complesso, tuttavia la sua edificazione era legata ad un voto fatto per la fine della pestilenza nel 1599.
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