All’Aperilibro del Gruppo di lettura di Carmagnola: «L’esilio» di Simone Lenzi
CARMAGNOLA – La storia è piena di famosi esiliati. Da Dante Alighieri a Pablo Neruda, da Nicolo Machiavelli a Marc Chagall, non dimenticando Ugo Foscolo e Sigmund Freud. Simone Lenzi, la via dell’esilio la sceglie volontariamente, lasciando la sua natale Livorno per esiliarsi a Fauglia, che pur essendo in provincia di Pisa (e si sa, fra livornesi e pisani non è che scorra tutto quel buon sangue) dista appena una trentina di chilometri da Livorno.
Questa drammatica storia di allontanamento dalle proprie radici è raccontata (con tutta l’ironia e la verve che solo i toscani ancorché livornesi sanno esprimere) da Simone Lenzi nel suo libro “In esilio” presentato dall’autore giovedì scorso 25 ottobre, agli attenti frequentatori del Gruppo di Lettura Carmagnola che ogni fine mese si ritrovano per la tradizionale apericena alla Trattoria della Vigna.
Con uno stile molto morbido, ed espressioni molto simili al suo conterraneo Paolo Migone, cabarettista di Zelig, ma senza l’occhio nero del comico, Lenzi ha raccontato il suo passaggio in esilio, avvenuto più all’interno di sé stesso, che al reale allontanamento dalla città di Modigliani.
Un esilio dovuto al fatto di sentirsi sempre fuori posto, discendendo da un manovale delle ferrovie che pur appartenendo al più classico ambiente del proletariato, si era ritrovato a vivere non nelle case popolari, come sarebbe stata la sua giusta collocazione ma nel quartiere dirigenziale dei ferrovieri, solo perché la nonna in carrozzina non poteva vivere in una casa multipiano senza ascensore nel quartiere popolare. E ancora, il trauma di trascorrere le vacanze estive in un albergo multistellato, solo perché lo iodio fa bene ai bambini e la zia ha sposato un ricco albergatore che non tollera che il bambino non sappia quale posata usare per il pranzo. E come se non bastasse, il giovane Lenzi si ritrova a frequentare un liceo dove i suoi compagni sono tutti figli di noti e conosciuti personaggi che il preside ossequia, se vogliamo supinamente, mandando i saluti a casa, mentre per lui….
Ma l’apice del dramma lo si raggiunge quando “Il Tirreno”, quotidiano livornese cui Lenzi collabora da sempre con dei pezzi di colore nei quali esprime tutte le sue variegate opinioni sulla costa tirrenica ed anche oltre, gli chiede di scrivere un pezzo inneggiante al caciucco.
E no, a me il caciucco non piace. Ed è la svolta per iniziare a dire no. A dire no a tutto quanto la vita quotidiana ci presenta, a non esprimersi su argomenti che, a pensarci bene, manco lontanamente interessano. A pensare di andare in esilio prima nel proprio essere e poi magari anche fisicamente trovando una cascina da ristrutturare in un bel borgo di collina, dove il dibattito più accesso riguarda se il parcheggio debba essere consentito sul lato destro o sinistro della strada, dove una delle personalità più importanti abbia in odio i verdi, perché lui va a caccia al cinghiale, dove la vecchia vicina di casa non sappia cucinare il cinghiale, ma viva al passo con i tempi consigliando agli sprovveduti cittadini di cercarla su Internet la ricetta del cinghiale. E dove tutti vanno dal medico con lo stesso paio di ciabatte, perché fuori del comune esiste un unico supermercato gestito da cinesi, che vendono un solo tipo di ciabatte. Quelle.
Un esilio fatto di tante riflessioni, sul perché nella propria famiglia ci sia un quarto di sangue marcio (due cugini fatti così ed un terzo sottosegretario alla giustizia), dove i propri amici comunisti veri continuino a passare il tempo su facebook ad insultare i governanti non comunisti, ed anche una bella fetta di opposizione all’interno del partito, senza rendersi conto che fanno il gioco e la fortuna di Mark Zukenberg, mentre Lenzi, chiuso nel suo esilio se ne tiene ben ben alla larga.
Con molta semplicità e ironia, apprezzando la cena a base di piatti piemontesi e lontanissima dal caciucco livornese, Simone Lenzi ha raccontato spizzichi delle pagine del suo libro, che rappresenta un’ottima lettura per chi si chiede se sia un bene o un male fuggire in esilio.
Prossimo Aperilibro giovedì 29 novembre alle 21 con Paolo Zordi “Tutto male finché dura” . Lui è un uomo che vive di espedienti e raggiri e, proprio a causa di uno dei mille nomi falsi che usa, la polizia lo scambia per un criminale e lo arresta. Due mesi dopo esce dal carcere, ma ormai ha perso tutto: la sua casa e lo studio dentistico dove praticava la professione di cavadenti abusivo sono stati, sempre abusivamente, occupati.
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