Sempre più uliveti nel torinese
Con il cambiamento climatico si diffonde nuovamente la coltura dell’olivo anche nelle valli e sulla collina torinese. Ben presente in epoca romana, l’olivo sta tornando come vera coltivazione da reddito dopo essere timidamente tornato nei giardini a scopo ornamentale.
In provincia di Torino sono 33 gli ettari destinati all’olivicoltura da olio. La produzione è di circa 1300 quintali di olive appartenenti a una dozzina di cultivar diverse tra cui prevale la varietà Leccino, più resistente alle residue gelate. Da questa produzione si ricavano 19.500 litri di olio extravergine spremuto a freddo. Un olio di altissima qualità dove, mediamente, prevalgono i sentori delicati, che sono quelli, tradizionalmente più apprezzati dai piemontesi.
La giovane olivicoltura torinese è ben diffusa sui versanti della Collina torinese soprattutto nei comuni di Moncalieri, Casalborgone, Pino torinese e Pecetto. Ma è proprio nelle valli e nelle prealpi a raggiungere le maggiori estensioni. Le piante più alte, secolari, sono nel comune di Gravere a 700 mt. nel cuore della valle di Susa dove, alla stessa quota, nel comune di Mattie, si stanno realizzando nuovi impianti. Ma l’olivicoltura è ormai un’attività solida anche in un’altra zona montana più famosa per i formaggi di alpeggio che per l’olio.
«Con il cambiamento climatico – osserva il presidente di Coldiretti Torino, Bruno Mecca Cici – non solo le colline ma anche le montagne torinesi hanno il loro olio. Non si tratta più di esperimenti o di giardinaggio con il gusto per l’esotico ma di vera attività agricola che Coldiretti incoraggia e segue con l’assistenza degli uffici di zona. L’accoglienza riservata dai nostri agricoltori alla coltivazione dell’olivo dimostra come l’agricoltura sia pronta all’innovazione e dimostra come i coltivatori siano resilienti. Tra l’altro, l’olio torinese, non ha nulla da invidiare a oli di altre aree del Nord Italia e raggiunge altissimi livelli qualitativi altro dato che dimostra che la nostra olivicoltura si è lasciata alle spalle la fase hobbistica e punta a raggiungere livelli di eccellenza anche in un territorio come il nostro dove mancava una specifica tradizione agraria di coltivazione dell’olivo».
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